Le prospettive del biometano, che “può arrivare a coprire tra il 50% e il 100% della domanda europea di gas al 2050”; la normativa italiana “chiara e attrattiva”, gli “importanti passi avanti” per velocizzare i tempi amministrativi; la strategia dell’azienda per sviluppare il business biometano; le differenze tra l’Italia e gli altri Paesi europei.
Ne parliamo in questa intervista con Matteo Grandi, nominato nei giorni scorsi Country Manager per l’Italia di Verdalia Bioenergy.
Grandi vanta nel settore un’esperienza pluriennale che lo ha visto guidare e gestire lo sviluppo di importanti portafogli di impianti prima per Ladurner e poi per Snam.
Lanciata da Goldman Sachs nel febbraio 2023, Verdalia Bioenergy punta a investire oltre €1 miliardo in Europa nel settore del biometano. Con l’ingresso nel mercato italiano, Verdalia punta sull’acquisizione e l’upgrading di impianti a biogas esistenti e sullo sviluppo e costruzione di nuovi impianti a biometano.
Verdalia Bioenergy ora punta sul mercato italiano del biometano. Vedete quindi nell’Italia buone opportunità di crescita del settore? Quali sono i punti di forza del nostro Paese?
L’Italia è attualmente il secondo paese Europeo per numero di impianti a biogas con oltre duemila siti produttivi operativi. Una parte di questi impianti potranno essere riconvertiti per produrre biometano, ma crediamo anche nel potenziale del settore agricolo ed agri-industriale come base per lo sviluppo di nuovi impianti greenfield.
E i punti deboli che rallentano la crescita del settore?
Con l’uscita del DM 15 Settembre 2022, seppur con qualche revisione necessaria ma in fase di valutazione, abbiamo una normativa chiara ed attrattiva.
Il biometano nel suo insieme è sicuramente più complesso rispetto al biogas, soprattutto agricolo, ed a questa complessità ha fatto seguito l’ingresso, al fianco degli imprenditori agricoli, di importanti gruppi industriali e finanziari. Si sono fatti importanti passi avanti per velocizzare i tempi amministrativi al fine dell’ottenimento delle autorizzazioni e dei permessi necessari alla costruzione ed esercizio degli impianti e soprattutto alla connessione alla rete.
In particolare qual è la strategia di Verdalia Bioenergy per sviluppare il business biometano?
Puntiamo a creare un portafoglio di progetti in diverse fasi di sviluppo – impianti da convertire, titoli autorizzativi “ready to build” ed impianti già operativi. Ci stiamo strutturando per avere le giuste competenze industriali che ci consentiranno di essere flessibili e soprattutto veloci ed avere impianti perfettamente integrati con il territorio.
Quanto e in che termini il biometano può contribuire alla sicurezza energetica e di decarbonizzazione italiana ed europea?
Il biometano può dare un contributo importante considerando i benefici ambientali, la programmabilità della fonte ed i costi di trasporto e stoccaggio. La transizione energetica avviene però lavorando sia dal lato produttivo, possibilmente con fonti programmabili, sia dal lato dell’efficientamento dei consumi. Se da un lato ci aspettiamo una riduzione del consumo di gas al 2050, ci attendiamo una forte crescita della componente rinnovabile nel mix. Guardando al feedstock potenzialmente disponibile per la produzione di biometano a livello europeo, diversi studi stimano che il biometano possa coprire tra il 50% e il 100% della domanda europea di gas al 2050.
Prospettive importanti si aprono però con la decisione recente del Parlamento Ue che ha dato il via libera ai biofuel chiesti dall'Italia tra i carburanti neutri, accanto agli e-fuels della Germania. Come vede questa apertura?
Sicuramente una notizia positiva ed una spinta per il settore oltre che un’ulteriore conferma della virtuosità di quello che facciamo.
L’Italia, rispetto ad altri Paesi europei, come si colloca? Differenze?
La principale differenza che vediamo oggi tra i vari paesi è la dimensione degli impianti. Il nuovo decreto biometano nel nostro Paese supporta principalmente progetti con taglia fino ad una potenza massimo di 500 Smc/h. Altri stati, soprattutto del nord Europa, stanno puntando su impianti di dimensioni maggiori, che superano in molti casi i 1.000 Smc/h, mentre Paesi come la Francia invece stanno incentivando impianti spesso sotto i 100 Smc/h.
Difficile stabilire quale sia la strategia migliore per garantire velocità di sviluppo e redditività degli investimenti. Ogni stato ha una struttura del settore agricolo e di raccolta del rifiuto solido urbano diversa e gli impianti devono essere dimensionati in base alle caratteristiche del territorio. Per quanto riguarda il quadro regolatorio e le aste per accedere agli incentivi, l’Italia è all’avanguardia a livello europeo e crediamo che questo dia la concreta possibilità al nostro paese di diventare leader nel settore e esportare tecnologia e know-how all’estero.
Intervista di Elena Veronelli