Nel 2022 in Italia sono stati prodotti circa 230 mln di m3 estratti dal biogas la cui produzione è stata di circa dieci volte superiore. Come è noto, infatti, la produzione primaria è quella del biogas da cui viene separato il biometano (operazione detta di “upgrading”) che rappresenta il 50-60% del biogas (il resto è CO2). La producibilità teorica massima di biogas in Italia è stata stimata in 10 mld equivalenti di biometano: il potenziale è quindi nettamente superiore sia per la produzione di biogas che per la separazione del biometano.
In Europa la situazione è migliore, la quota di biometano sul biogas stava a fine 2022 sul 20% mentre in Italia al 10%. Sempre nel 2022 in Europa c’erano 1200 impianti, da noi 45/50. Questo perché in Italia ci sono una serie di vincoli strutturali e ambientali e anche perché la politica di incentivazione favorisce da tempo di più l’uso del biogas agricolo per produrre energia elettrica e calore che non la riconversione in biometano.
Ne parliamo in questa intervista con Luigi De Paoli, coordinatore dell'Osservatorio OGR di Green della Bocconi.
In Italia il biometano ha un notevole potenziale grazie alla disponibilità di diverse fonti di biomasse. Questa potenzialità è sfruttata pienamente? Qualche numero?
Le potenzialità del biometano vanno distinte. Perché non è detto che chi faccia biogas poi produca anche biometano. Di solito quindi si ragiona in termini di biogas in equivalente al biometano, ossia biogas raffinato. Già da una decina di anni, il secondo il dato CIB, aveva indicato una potenzialità di biometano equivalente pari a 10 miliardi di metri cubi.
Bisogna però considerare che si tratta di una potenzialità massima, ossia si considera tutto quello che si potrebbe produrre. In realtà esiste poi una potenzialità tecnica che è inferiore perché tiene conto delle tecnologie effettivamente disponibili e anche dei vincoli ambientali che limitano la potenzialità massima. Dopo di che c’è un potenziale economico che è ancora inferiore perché tiene conto se sia conveniente puntare sui biometano.
Premesso questo la potenzialità teorica, aggiornata alle condizioni attuali, è stimabile in circa 8 mld di m3 equivalenti. Il potenziale tecnico potrebbe aggirarsi attorno a 6 mld, dato che è contenuto anche nell’aggiornamento del Pniec. Secondo me alle condizioni attuali, il potenziale economico, tenuto conto degli ostacoli cha ci sono, è di 2,5 mld, quindi poco più di un quarto del potenziale teorico.
Il potenziale economico ovviamente dipende molto dalle norme di incentivazione che abbiamo. Se si decidesse di aumentare gli incentivi al biometano e di togliere in vincoli ambientali, possiamo avvicinarci al potenziale teorico. Però purtroppo questi vincoli tecnici e ambientali li abbiamo.
Parlando quindi solo di biometano, alla fine del 2022 c’erano 45/50 impianti di “upgrading” in funzione, con una producibilità massima di 360 mln di m3. Quindi se questi impianti avessero funzionato sempre al 100% h24 tutti i giorni, oggi avremmo una potenzialità installata di 360 mln. Dopo di che la produzione effettiva sempre nel 2022 è stata di 230 mln di m3. Questo fa capire che la producibilità massima degli impianti poi non è la produzione effettiva.
La strada per arrivare a quei 2,5 mld indicati prima, è lunga. Non ci si arriva in pochi anni. Bisognerebbe arrivare a circa 500 impianti che producono biometano quindi ci vuole tempo.
Quanto tempo?
Con un po’ di ottimismo al 2030 possiamo arrivare a questa cifra di 2,5 mld. Questo se si verificano una serie di condizioni. Questa è la mia stima che sicuramente è più pessimistica di quella presentata nella bozza di Pniec.
Un confronto con gli altri Stati membri?
In Europa la situazione è migliore. La quota di biometano sul biogas è più alta della quota italiana. Quest’ultima sta sul 10% mentre l’Europa al 20%. Nel 2022 in Europa c’erano 1200 impianti, con una produzione di 4 mld m3. Noi in Italia con i nostri 45/50 siamo quindi al 4% e con i 230 mln m3 siamo al 6% dell’Europa. E l’Italia sia per dimensioni sia per capacità è ben più alta come percentuale del 4-6%.
Però anche in Europa se consideriamo solo il biogas che viene trasformato in biometano siamo di fronte a una proporzione che comunque rimane una minoranza.
Quali sono gli ostacoli che persistono per un pieno sviluppo del settore In Italia? Perché in Europa la situazione è migliore?
Nel decennio scorso la produzione di biogas da monocultura agricola era la voce dominante, si usava prevalentemente mais. L’Europa però a un certo punto si è opposta a questa tendenza sottolineando che la produzione di biogas/biometano deve essere sostenibile e dare un contributo importante alla riduzione di emissioni di gas serra e non deve togliere spazio alla produzione alimentare. Questo ha ridotto le potenzialità del biogas/biometano.
In questo quadro, le normative ambientali incidono molto. Se io ho l’obbligo di ridurre le emissioni vuole dire che solo alcune materie prime (che si tratti di rifiuti o di prodotti agricoli) o di loro mix possono essere utilizzate.
Nello specifico in Italia, per prima cosa bisogna capire quanto sia conveniente la produzione di biogas e poi raffinarlo in biometano. Noi abbiamo una normativa che incoraggia molto la produzione di energia elettrica semplice o in cogenerazione da biogas. Se un operatore quindi ha convenienza a produrre biogas e poi energia elettrica e calore, è chiaro che non investirà sul biometano. Oppure il biometano deve dare un plus che spinga verso questa produzione e questo plus finora non c’è stato o è stato molto modesto. Se l’agricoltura non ha convenienza produrre il biometano, si fermerà al biogas e poi all’energia elettrica.
Un secondo ostacolo importante è che il biometano va consegnato al mercato finale, quindi o si mette in rete oppure si liquefa e si trasporta agli usi finali. Si aggiunge una complicazione, non basta produrre biometano, bisogna poi consegnarlo a chi lo usa. Io credo che la liquefazione abbia uno spazio molto ridotto per motivi economici.
Anche l’immissione nella rete di trasporto però è costosa, bisogna pressurizzare il gas, fare il collegamento alla rete di trasporto, mettere il contatore e poi immetterlo. Operazione a volte non facile e a volte costosa, bisogna vedere dove è situato l’accesso alla rete, ad esempio se la rete è lontana e bisogna attraversare proprietà altrui la situazione già si complica.
Quello che sarebbe più semplice è metterlo nella rete di distribuzione perché normalmente più vicina a quella di trasporto. Però soprattutto in un centro piccolo, dove principalmente si concentra l’agricoltura, la capacità di accettare l’immissione di biometano nella rete di distribuzione può essere limitata.
Se non si risolvono questi problemi strutturali l’incremento della produzione di biometano avverrà molto più lentamente e potremmo non arrivare al 2030 neanche a quei 2,5 mld stimati prima.
Queste sono considerazioni che valgono per gli impianti agricoli, che generalmente sono di piccole dimensioni. Dei 230 mln di m3 di biometano prodotto, circa 140 viene dai rifiuti organici della raccolta differenziata, ossia più del 60%. Questi impianti sono normalmente più grandi di quelli agricoli e non hanno i vincoli localizzativi degli agricoli, perché si possono tranquillamente trasportare i rifiuti anche a chilometri di distanza. Quindi questa quota di biometano da rifiuti si può sviluppare più facilmente.
Altre misure necessarie per aiutare lo sviluppo del biometano?
A luglio 2023 è stato prolungata l’incentivazione dell’uso del biogas agricolo per produrre energia elettrica e calore. Quindi il Governo con una mano ha fatto il decreto del 2022 per riconvertire il biogas agricolo in biometano, dall’altro ha prolungato gli inventivi al biogas senza riconversione.
In questo quadro, secondo i risultati del primo bando sugli impianti ammessi al contingente disponibile per la procedura di sviluppo del biometano, sono solo 14 su 60 gli impianti gli impianti agricoli che si sono offerti di passare dalla semplice produzione di biogas a quella di biometano e anche questi 14 dopo la legge di luglio 2023 non so se faranno la riconversione o meno.
Da un lato l’Italia e l’Europa vorrebbero che il biogas diventasse biometano, dall’altra non danno sufficienti incentivi agli agricoltori per la riconversione. L’agricoltura può dare di più se spinta a dare di più. Se si vuole spingere la produzione di biometano per usarlo dove è più difficile trovare altre soluzioni di decarbonizzazione deve essere quindi più conveniente convertire il biogas in biometano invece che usarlo per produrre elettricità e calore.
Intervista di Elena Veronelli